*3 La Marca di San Michele feat. Renato Gasperini


 

Saltatempo

Ci sono indiani e indiani. Io sono un indiano regionante. Nello specifico rappresento la regione delle Marche. Non ho un collo, non un corpo, ho solo il volto, ma sicuramente ho moltissimi anni. Prima delle Marche, c’ero io. Porto una fascia, non in testa come si usa pensare, ma sugli occhi: nessuno vede quello che vedo e io vedo tutto. Dentro la fascia infatti c’è il Tempo. Decido come farlo scorrere, scelgo se far piovere, se far venire il sole, se far nevicare senza che attacchi o se interrompere tutto e lasciare gli abitanti immobili. Mi occupo però solo di questo e solo per questa regione. Non si studia a scuola, ma i confini geografici li abbiamo decisi noi: il Cavallo ha conquistato il Veneto, il Gatto Nano con le Ali il Molise e a me sono toccate le Marche. Ah, io mi chiamo SaltaTempo e una caratteristica del mio territorio è la sua contraddizione: lascio che il mare mi bagni e che il sole mi scaldi, ma non c’è raggio a cessare il vento freddo che spesso mi invade. Sono uno sciamano delle temperature.

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artwork di Renato Gasperini
cantina: La Marca di San Michele – Cupramontana, Ancona

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una conversazione con Daniela Quaresima


Ogni vino una zona diversa, una porzione di colore per un vigneto! Si tratta della vostra regione, o sbaglio? Parlami di come è nata l’idea di questa etichetta così “geografica”…

Daniela: Ogni vino sì una zona diversa, ma all’interno dei nostri vigneti in zona San Michele, tra gli Appennini e la riviera del Conero, nelle Marche. Di fatto l’etichetta altro non è che la mappa catastale dei vigneti, che si può ritrovare anche nel nostro logo. L’idea è venuta ad Alessandro all’inizio di questa avventura nel tentativo di trovare il logo più adatto. Ha visto la mappa aperta sul tavolo e da lì l’idea iniziale che poi abbiamo fatto realizzare al nostro grafico di fiducia.

Chi è il grafico?

Renato Gasperini di Jesi (Ancona), amico, grafico attento e dal gusto raffinato. Renato è anche un talentuoso fotografo e proprio la fotografia ci ha fatti incontrare. Ci conosce bene e conosce anche le nostre passioni e da lì l’interpretazione precisa e centrata della nostra idea.

Essenzialità e schiettezza, come il vostro vino. Ma in certi tratti la linea grafica si sporca, sembra uscire dal contorno: c’è un motivo?

Mi fa immensamente piacere che tu ci legga questo. E’ giusto che ci si sporchi e soprattutto è essenziale che i confini non siano mai così netti da diventare barriere insormontabili e chiuse. Soprattutto in questo momento storico. Opinioni etnografiche a parte…non c’è un motivo specifico, questa era la riproduzione catastale. 

Mi ricorda alcuni dei più duri tratti di Cezanne. A cosa vi siete ispirati?

Non ci siamo ispirati a nulla in particolare, ma sicuramente la nostra passione per il reportage in bianco e nero, la dipendenza dai fumetti in bianco e nero e la fascinazione verso le illustrazioni e la musica di PJ Harvey ci hanno guidato la mano. Ci piace il più “fotografico” dei pittori, Caravaggio, più che Cezanne.

Nel nostro incontro in vigna, ricordo che la vena artistica è di casa. Vuoi raccontarmi qualcosa in più su di voi, prima de La Marca?

Alessandro è stato un fotoreporter ed è ancora oggi ama la fotografia, io sono la maniaca di fumetti, illustrazioni, videogiochi e abbiamo lavorato come grafici, traduttori di videogiochi, revisori e abbiamo sempre avuto una passione divertita per la grafica, Beatrice è quella che ci consiglia e supporta con il suo buon gusto. Abbiamo organizzato festival per tanti anni…cominciando dalla musica, spostandoci sul fotogiornalismo poi. Sono queste passioni che ci hanno mosso verso il fare vino, ad arricchimento dei nostri interessi e come collante per gli eventi che ci piace ancora realizzare insieme agli amici.

Quanta importanza ha l’etichetta di una bottiglia e cosa deve rispecchiare per voi?

Per noi l’etichetta è molto importante, per un nostro piacere prima di tutto. Abbiamo cercato di trasporre il nostro interesse verso la grafica e la comunicazione all’etichetta, un po’ sulla scia delle fantastiche etichette francesi e un po’ su quella più lacunosa e anonima di tante etichette italiane. 

Ho visto che realizzate anche delle etichette in edizione limitata, a sostegno di progetti culturali. Mi racconti in che cosa consiste esattamente e come funziona?

Semplicemente abbiamo deciso di investire su illustratori/disegnatori/grafici e far loro da vetrina, anche in attesa di un nostro nuovo festival. Nel periodo in cui abbiamo organizzato Artefoto, festival di fotogiornalismo, abbiamo deciso di istituire un premio per il fotografo che più ci emozionava. La cosa ha funzionato e continua tuttora in un altro festival che all’epoca collaborava con noi. Quindi abbiamo continuato con le etichette. Senza dare un premio vero e proprio, ma dando visibilità. Ci piace pensare che dopo aver scelto il nostro vino anche per l’etichetta, dopo averlo bevuto, qualcosa rimanga: una storia, un racconto, un viaggio, un tratto o una risata sguaiata.

Quali sono gli illustratori con cui avete collaborato e in che modo nasce quel tipo di disegno abbinato al vino?

Abbiamo collaborato con una timidissima quanto talentuosa Francesca Morici, marchigiana, ma oggi Torinese. Sul suo tavolo ho visto vere magie che aspettavano solo di venire messe in vita. Così è nata l’etichetta che ha dato inizio al nostro progetto di legarci ogni anno ad un artista grafico: una fanciulla piccina piccina, ma temeraria e dai lunghi capelli mossi dal vento, in punta di piedi sul lungo naso di un grande Pinocchio. Quasi una figura celtica sull’orlo di una scogliera ventosa o sul naso di un gigante. Abbiamo ospitato e amato il lavoro di Vecks Van Hillik, giovane street artist di Grenoble, al quale abbiamo affidato il mural della nostra cantina, che poi è diventata l’etichetta per il nostro sfuso: una figura metà uomo e metà pesce a sottolineare il nostro amore per il mare e Quentin Tarantino. La scelta di fare un vino che fosse l’unione di tutti i nostri vigneti, che rompesse i confini e fosse l’amata pecora nera e anarchica della famiglia è stata affidata alla mani di Rob Spittlehouse, grafico e fumettista inglese adottato dal quartiere Exarchia di Atene. Una sorpresa nata nuovamente da viaggi, condivisione di amicizie, bisbocce intorno a un tavolo e l’immancabile musica, sarà l’etichetta per un nuovo progetto resistente. 

Torniamo al vino: per il Capovolto, nel descrivere il tipo di concime che utilizzate, si parla di “sovescio di leguminose”. Che cosa è esattamente?

Semplicemente il seminare leguminose come senape, favino o piselli, tra un filare e l’altro per dare azoto alle viti. Ridare alle piante la possibilità di interagire di nuovo con i loro simili, senza l’uomo e i suoi irrispettosi e impoverenti interventi.

Avete in serbo qualche sorpresa enologica per il futuro?

Sì, il nostro primo vino Resistente…perché la resistenza, diceva il tale, è una cosa seria.