il lavoratore del villaggio


Se ne era sdraiato
con il braccio a baffo morto
buttato a carezzare il materasso

e il cuscino pigiato a metà
si soffocava nel respiro della nuca
cuneiforme e senza vita.

Glabro anche il resto del corpo
che immobile mutava
i laboriosi gesti

dal giorno frenetico,
alla notte così com’ora era
e quietava le paure sue
accorgendosi di nulla.

Il braccio, l’altro
ricurvo a proteggere il seme
senza forza eppure
chiuse

le dita mostravano i graffi
delle ore trascorse
addormentarsi nella notte
per non bruciare il giorno poi.

 

Nella stanza fioca
una luce appena
reclamava la sveglia
farsi giorno

e con lo scudo delle tende
sulla finestra bassa
pungeva lo schermo vetro:

a nulla serviva
il suo richiamo e il canto
di Gisella per i pani

quando mentre il villaggio
rincuorato la accoglieva
per compagnare il desinare loro,

lui sognava aspettando sera
che del sabato arrivato
non si dovea lavorare.