Ieri ho incontrato Ken


Ieri ho incontrato Ken. Era sciupato. Non avrei mai immaginato di vederlo davanti a Bevi&Fermenta. C’era anche molta più gente del solito. Era fuori, sul piazzale davanti al locale: per l’occasione della festa degli artisti di strada, la strada l’avevano chiusa al traffico. Quindi niente macchine e niente motorini, anche le biciclette ho visto passare timidamente. Insomma, persone un po’ qua, un po’ là, sedute sull’asfalto o sul ciglio del marciapiedi, con le solite scarpe nere grandi e i soliti cani neri brutti. Ken pure aveva un cane ieri. Ken un cane!  Il suo però non era brutto. Era triste.
Comunque, ho visto Ken, sciupato e con un cane triste, che se la girava in tondo. L’ho seguito. Non siamo andati molto lontano, lui voleva restare lì, di fatto, alla festa degli artisti di strada con la strada chiusa al traffico.
Ken si è avvicinato al chioschetto della birra da asporto, quella dove te la servono in un bicchiere da birra di plastica, e ha chiesto una bionda media. Poi con la birra in mano, il guinzaglio nell’altra, si è acceso una sigaretta, non so come. Queste sono le cose che effettivamente solo Ken può fare e, a parte tutto, è stato solo in quel momento l’ho notato: il ciuffo.
Il ciuffo di Ken non era pettinato da un lato, non era incollato al resto della sua folta chioma e non disegnava un’onda sulla sua fronte liscia. Il ciuffo di Ken penzolava davanti agli occhi di Ken: faceva dei piccoli scatti, vibrava impercettibilmente a ogni sorso di birra e soprattutto non era l’unico. Insieme a lui, c’erano due altri piccoli ciuffi, lunghi poco meno del primo, di quello che sarebbe dovuto essere l’unico. Distanziati l’uno dall’altro di qualche millimetro, i tre ciuffi di Ken erano terribilmente unti. Unti e sporchi, con il gel di una settimana a dire poco e per continuare a volergli bene. Il mento di Ken non era liscio, ma puntellato da scomposti peli sbarbati e non, corti di qualche centimetro appuntito e tagliente. Gli occhi di Ken non erano azzurri, ma grigio topo e i pettorali di Ken non si vedevano attraverso la sua camicia sbottonata: Ken non aveva più pettorali, come non aveva più bicipiti: smunto da far preoccupare ogni madre, non aveva neanche più la camicia.
Se ne stava ora con la mano in tasca, ora con la sigaretta tra le dita, ora teneva il cane e ora beveva. E beveva, beveva. Stava forse diventando un alcolizzato?
Poi un abbaglio, un luccichio, un movimento sinuoso da lontano capace di emettere scintille talmente brillanti da essere quasi rumorose e tutto fu immediatamente chiaro: Barbie.
Barbie indossava un vestito minuscolo e corto, solamente fuxia. Era fuxia in ogni sua parte: cucitura, rifinitura, scollatura. Aveva i tacchi a spillo dello stesso colore e la sua classica capigliatura bionda, come appena uscita dal parrucchiere. Barbie faceva la diva, passeggiava educatamente dall’alto delle sue lunghe gambe, perfette. Ma non era sola, né con sua sorella Skipper o con la sua amica mora di seconda scelta. Barbie era con Gianluca, il ventinovenne più hipster del quartiere.
Gianluca e Barbie si tenevano mano nella mano, stringevano forte le loro dita e se le attorcigliavano carezzandosi sdolcinatamente. Lei sorrideva, con la sua dentatura perfetta, lui guardava dritto davanti a se, al di sopra della montatura dei suoi occhiali tondi. Gianluca e Barbie erano da pochissimo diventati una coppia di fatto, ma effettivamente era la prima volta che li vedevo insieme. Ken no. Non era la prima volta, lo si vedeva da come era avvilito e ormai rassegnato al suo destino da single.
Beh, l’ho invitato a casa mia. Si ho invitato Ken a cena da me, questa sera. E ho invitato anche Debora e Marco e ho detto loro di portare qualche altra persona, insomma più siamo meglio è. Comunque mi ha detto che viene, Ken. Mi ha chiesto se fosse stato un problema portare Blobby, il suo cane. Certo che no, gli ho risposto, a patto che gli cambi il nome. Si è messo a ridere! In realtà penso che Blobby sia una copertura, per far tenerezza a Barbie, per fare accendere in lei nuovamente la passione.
Questa sera mi sono promessa di fare il lavaggio del cervello a Ken: voglio convincerlo a farsi crescere la barba e a farsela diventare crespa una volta raggiunti i venti centimetri. Voglio che si metta gli occhiali anche se ci vede benissimo e voglio che radi quei ciuffi sbilenchi che ha in testa. Voglio che chiami Blobby Gustavo e che si tatui un villaggio indiano in stile geometrico sul braccio. Poi voglio che cambi nome anche lui, si.
Voglio che Ken non si chiami più Ken, ma Karlo Lennon K, detto Ken.
(continuerà)