Quando muori voglio che tu rinasca pesce


Barbara si era alzata solo alle due di pomeriggio, finalmente è domenica. Un’attesa desiderata e lunga una settimana, tanto che al rumore del giorno si era girata nel letto, coprendosi la testa con il cuscino. Gli uccelli a Maggio cantano dai primi raggi, quindi non smettono anche se le ore passano e lei, gongolante per il suo dormiveglia, li aveva sentiti cantare costantemente. Fino a che non aveva aperto gli occhi, quando Lorenzo dormiva ancora. La fessura dalla finestra, nella sua piccola luce permessa, non sembrava però voler accecare nessuno: restava bianca e mite, come la si era vista durante tutto l’inverno e proprio come per tutto l’inverno, la pioggia continuava incessante, bagnando strade e macchine. Riportava gli umori della città insieme a un inquinamento galoppante, con le sue nuvole, i suoi malumori e le stanche malinconie urbane.

Solo quando aveva visto l’ora dal telefono, Barbara aveva sospirato con sollievo: quindi le due, finalmente. Aveva baciato Lorenzo e si era alzata per fare il caffè. Nessun appuntamento con il pranzo, niente di programmato: oggi facciamo l’amore tutto il giorno. All’odore della moka Lorenzo era apparso in cucina, anche lui di poche parole ma con lo stesso desiderio.

Da qualche tempo le domeniche passavano di nascosto dalla vita mondana. I due ragazzi si conoscevano da poco, ma non avevano perso nessun appuntamento lontano dal lavoro e dalla routine per dedicarsi a loro. Così, avvinghiati nella passione che non ha parole, lasciavano scoprire i loro corpi, interrogavano la loro pelle toccandosi, poi sospettosi e insieme desiderosi, davano spazio alle loro più intime fantasie. Lorenzo non avrebbe mai immaginato di incontrare una donna come Barbara e Barbara avrebbe giurato lo stesso nei confronti di Lorenzo: così noiosi e scontati gli ultimi appuntamenti, che si era fatta scivolare ogni desiderio, ogni incanto, dimenticando cosa voleva dire l’amore. Fare l’amore.

Vero era che la perseveranza della pioggia e quella luce bianca talmente invernale non li aveva spinti ad alcuna iniziativa all’aperto: era Maggio, certamente, ma il brutto tempo insisteva da un mese e sembrava scacciare l’arrivo del caldo e delle belle stagioni. Se solo non si fossero trovati, avrebbero sofferto di depressione, ne erano certi dal profondo delle loro fragili personalità.

Dopo il caffè, Lorenzo si era avvicinato a Barbara e le aveva carezzato i capelli fino a sfiorarle il collo, mentre lei era intenta a sciacquare le tazzine. I loro incontri silenziosi avevano inizio sempre in cucina, lontano dal letto che li aveva appena visti vicini. Ed era sempre Lorenzo a cominciare, ma senza indugi: era certo che le sue voglie non avrebbero trovato ostacoli. Barbara dal canto suo, si lasciava carezzare, curiosa ogni volta di scoprire fin dove sarebbero arrivate quelle dita, per finalmente legarle alle sue, portarle alle labbra e baciarle. Baciare tutta la mano.

Da piccolo Lorenzo si era sempre chiesto come avrebbe fatto ad imitare quello che vedeva ogni tanto nei film, quando un uomo e una donna avvicinano i loro volti fino ad appicciarsi e quasi a sbattere i nasi, ad occhi chiusi, per poi non staccarsi più. E muoversi, muoversi convulsamente come se stessero in realtà soffrendo, come se fossero in trappola e si battessero per dimostrare l’uno la vittoria sull’altro. Si era quindi rivolto ai suoi compagni, alcuni gli avevano confidato di certi esperimenti con cugine o sorelle, curiose anch’esse di capire: non si trattava di una lotta, ma di un gioco degli odori, dove vince chi indovina per primo di cosa sa l’altro. Una volta adolescente Lorenzo riconosceva l’odore fortissimo della propria pelle e lo dimostrava senza vergogna; si giudicava quindi, dall’alto di consolidate confessioni, un abile guerriero, capace di avere molte carte da scoprire e odori interessanti da far annusare. Crescendo aveva poi imparato altre cose: c’era tutta una questione di grandezze e di pesi da poter misurare; diverse forme avevano cambiato il suo corpo, si era allungato con la schiena e con gli arti, e sopra il pene così come sotto il naso grossi peli neri avevano cominciato a macchiargli la pelle, per non sparire più.

Barbara invece aveva sempre saputo cosa volesse dire diventare donna. Sarà stato per la sua famiglia: piccolissima di tre sorelle, tutte già maritate, tutte già mogli, tutte già mamme. Però, come molte altre donne che aveva sentito lamentare crescendo, anche lei si giudicava scontenta del sesso maschile e anche lei si sentiva repressa, incapace di provare piacere prima che ogni altro individuo la possedesse fino all’ultimo, prima di ogni movimento decisivo che potesse coglierla, prima insomma e nessuno mai che le desse il tempo necessario. Da piccola aveva sempre giocato con le Barbie e le aveva sempre fatte accoppiare con l’unico Ken in dotazione, a disposizione della casa. Ma permetteva a ogni Barbie di restare soddisfatta, tanto che si era promessa di mantenere la stessa soddisfazione per lei, una volta grande; così poco chiara nella sua testa eppure così vera da dover essere possibile, Barbara cercava da tempo quell’unione di intenti rivelarsi piacere, con purtroppo moltissime delusioni.

Lorenzo e Barbara avevano imparato ad amarsi sul tavolo della cucina, poi sul corridoio, sugli stipiti di tutte le porte della casa. Quindi sul divano, ma anche sui tappeti e solo infine tornavano a letto, tra le lenzuola ancora disfatte e già fredde, poi sotto le coperte, lasciando la finestra con la sua fessura esibire quella poca luce bianca che tanto li invogliava a starsene stretti.

Alle sette di sera Barbara aveva aperto il frigo per cercare qualcosa da cucinare, come accadeva spesso durante quelle domeniche. Ma il buio dietro lo sportello e un calore inaspettato l’aveva come destata da un sonno profondissimo e quieto: forse non abbiamo più luce? Lorenzo aveva presto acceso un interruttore, nessun segnale al comando. Quindi di corsa verso il pulsante del gas: nessun click. Il modem per tutta risposta sembrava svuotato da ogni energia, Barbara aveva sollevato quella scatoletta di plastica premendo diverse volte il tasto di accensione e spegnimento, nessun segno di vita. È andata via la corrente.

Restarono qualche ora senza pensarci, trattenendo la fame ancora placabile e distraendosi con alcuni scherzi provocatori che riguardavano i loro corpi, prime vittime di un’attrazione forte e reciproca. Ma alle nove di sera anche la luce bianca dalla finestra era sparita, colorando di scuro la bassa fessura visibile dalla camera da letto. E della corrente neppure un sospiro. Barbara cominciava ad innervosirsi, allontanando i gesti consolatori di Lorenzo che pure era preoccupato, ma non voleva dimostrarlo. Il palazzo sembrava essersi disabitato tutto insieme, o forse lo era da settimane e nessuno dei due se ne era accorto. Nessun uscio si era aperto in risposta ai loro campanelli inquisitori: ma anche a voi è sparita la corrente? Nessun cane abbaiava irritato dietro le porte dei pianerottoli e nessun rumore fuori posto, che non fosse quello imposto dal silenzio. Che le giornate frenetiche dalla routine e quei fine settimana così concentrati li avevano forse distratti dalla fine del mondo?

Dopo una lunga perlustrazione del vicinato, guardandosi però nell’uscire dallo stabile, e un ansioso andirivieni di piani, Barbara e Lorenzo erano tornati in casa sempre più affamati, sempre più stanchi e sempre più perplessi. La pioggia non smetteva di cadere: gocce su gocce, solo gocce di bagnato. Almeno non moriremo di sete! Ma più passavano le ore, più si rendevano conto che ogni oggetto li circondasse aveva perso la sua energia, la sua spinta vitale e da inanimato quale era, già prima di perdere corrente, ora più che mai dimostrava tutte le caratteristiche della sua natura: vuoto, senza anima.

Lunedì Lorenzo iniziò a piangere. Forse dalla rabbia, sicuramente dalla stanchezza, ma iniziò senza smettere, proprio come la pioggia fuori dalla finestra. Barbara, incapace di fermare sia l’uno che l’altra, prese a ballare. Girava in tondo, di stanza in stanza e con le braccia aperte inscenava una danza della pioggia, chiedendo Corri corrente corri! Torna dal torrente, correndo: torni? Trascorse così martedì, poi mercoledì e giovedì, infine venerdì, sabato e arrivò domenica che entrambi avevano già perso il conto della settimana, dimenticandosi di come tutte le scorse domenica si erano amati, senza mai raccontarsi troppo l’uno dell’altra.

Passarono mesi, avevano ormai saccheggiato la dispensa dalle poche provviste rimaste, masticando pasta cruda e racimolando briciole, erano diventati piccoli e magri. Incredibile come una strana forza oscura non li avesse spinti nelle strade a cercare aiuto, come la pioggia li avesse intimoriti e come si fossero semplicemente limitati a spergiurare altri esseri umani appena fuori dal loro portone.

Non intendo raccontarvi oltre, risparmiando alcuni particolari della fine di questa storia, ma ci tengo a dirvi che, trascorsa l’estate, al posto dell’incessante pioggia che aveva caratterizzato il tempo di quei mesi, cominciarono in Ottobre a venir giù pesci. Grossi pesci grigio perla, che brillavano dall’alto come stelle argentate a illuminare finalmente il cielo. Ho sempre saputo che i pesci rappresentano la vita, simbolo della fecondazione come può esserlo la pioggia con la terra, nella storia dei popoli e dell’essere umano fintanto che ha cura e pazienza nei confronti della natura. Chissà se Lorenzo e Barbara avessero osato aspettare di più.