Il loro stile di vita ignora le stagioni e quando viene il sabato le macchine non possono più circolare per il centro. E neppure gli autobus.
Così le due grandi strade principali, che si incontrano perpendicolarmente, formano un’unica T pedonale, dove i musicisti suonano liberi al posto dei clacson con addetti alle biciclette e ai pattini, agli skate e alle danze; fino alla domenica notte, quando i colori festivi si addormentano in brandelli per sparire nelle pattumiere del lunedì.
La loro statura non supera mai una certa altezza e il colore dei capelli ha poche varianti albine. E’ il marrone ad apparire più di frequente, senza essere però di moda. Se pure c’è stata, la moda qui è più una materia umanistica che un dato sociale: quel che resta degli anni ’80 è indosso alle generazioni successive, e dalle successive delle successive, mentre i primogeniti figli unici non dismettono quasi mai i loro cappelli, calzando gli abiti di una volta, tutti i giorni.
Niente di nuovo ma niente di vecchio e pure le grandi catene di abiti svedesi sembrano vestire i panni sbiaditi di un tempo rarefatto al pastello.
Non c’è una vera e propria etichetta alla forma in questa città, durante la settimana le ventiquattrore possono essere zaini e le scale dei tribunali ripide come quelle nelle università.
I capelli corti e quelli lunghi non differenziano il sesso né il genere delle persone, solo forse e in casi sporadici, aiutano ad identificarne le età: i più giovani quasi mai usano la spazzola e anche se il cuoio capelluto aveva sempre tenuto testa al grasso, non è questo il luogo in cui continuerà a farlo.
La chitarra come l’armonica risuona di frequente, sia se passeggi che se bivacchi ed in entrambe i casi potresti raggiungere il posto di lavoro da un momento all’altro.
L’illuminazione pure sembra una questione poco variabile: quando di giorno il sole tende a nascondersi dietro una coltre di nuvole chiare, alla notte non piace l’artificialità dei lampioni e così neppure alle strade: entrambe conoscono il risparmio.
In quanto agli abitanti nello specifico, solo nell’arco delle 24 ore si impara a conoscere un netto cambiamento che separa distintamente la vita del fanciullo da quella del lavoratore: fino alle 18 tutti gli studenti sembrano essere dei dipendenti statali modello e via Zamboni, nella pausa pranzo, li vede commensali parchi al pari del più docile impiegato.
E’ di sera che il lavoratore ritira i panni d’affari nella propria casa mentre al fanciullo si apre un mondo di locali a lui dedicati: c’è il mercoledì universitario in cui l’appuntamento mondano prende direttamente il nome del civico che ospita oltre ad esseri umani, sostanze non ben identificate o che sarebbe, per mantenersi puliti, non meglio identificare.
Piazza Verdi si condensa di ululati e risa e l’aria non sembra mai essere abbastanza per tutti. Brindano ai loro quindici/vent’anni, si pippano il mondo e si bevono la via lattea; pochi sono i corpi che si muovono, ma quasi nessuno preferisce sedersi. Solo i prati delle basiliche, quando la notte si attarda, con le loro corti pedonali si trasformano in antichi cori spianati. Nessuno di quelli che si siede dorme mai, e qualche ora dopo sono di nuovo tutti in via Zamboni, con le dispense fotocopiate a dispetto dei pc.
A Bologna questi giovani invecchiano in fretta, la loro pelle si stanca prima del corpo, a restare lunghi periodi insonne,e in quanto agli adulti: non c’è smoking che batta giacche di velluto di storiche nottate da esami del giorno dopo, anni prima. Forse è per questo motivo che il tempo qui sembra fermarsi: chi può crescere lo fa velocemente, senza mai cambiarsi d’abito, e chi l’ha già fatto sa che per respirare senza invecchiare, basta andare in piazza Verdi a confondersi un po’.