Non ho mai avuto un buon approccio nel gestire il trasloco dei fiori. Sto facendo un sacco di scatole, vado da mia nonna al sud. Che poi non mi va di fare le scatole, quindi prendo buste di plastica, buste di stoffa, zaini vecchi, borse che di solito non uso, borse che non ho proprio mai usato. Ci sto mettendo dentro tutto quello che trovo che non siano vestiti (per i vestiti ho usato due grosse valigie, grossissime, me le ha date mamma, sono nere, non hanno rotelle ma solo un manico piccolo in cima e si aprono lungo una zip che ne segue tutto il perimetro. Praticamente si appoggiano per terra, quindi ne sollevi una parte e poi come si fa con i panini, le farcisci di roba. Io ci ho messo tutti i vestiti che ho.), ho cominciato dal cassetto della scrivania, quanti fogli inutili, quanti oggetti improbabili. Alcuni di questi li ho buttati. Ora devo ricordarmi di gestire bene i sacchi con la spazzatura, che confonderei sicuramente con i sacchi di quello che ho deciso di traslocare. Insomma in tutto questo raccogliere non vedo dove potrei tenere i fiori. E le piante. Non trovo nessun contenitore che li supporti, che non li rovini durante il viaggio. E visto che non mi va di pensarci troppo – e non ne ho cuore di gettarli in una busta che poi butto – ho deciso che li porto al parco: Giovanni mi ha regalato due mesi fa un vaso di Gerbere e io mi sono comprata oggi tre rose per festeggiarmi a san valentino e subito dopo ho cominciato a impacchettare la casa; ho fatto queste due cose insieme, senza nessuna logica e nessun tempismo. Mi occupo quindi delle delle Gerbere per prima, alle rose ci penserò: sto uscendo, a un centinaio di metri dal mio palazzo c’è il parchetto di una scuola elementare, che oggi è vuota perché è domenica. Ci sono un altalena di legno, uno scivolo e alcune panchine. Niente è recintato e sembra quasi un parco pubblico, credo tuttavia lo sia, indipendentemente dalla scuola elementare. Poi ci sono degli alberi modesti che non crescono troppo in alto (a Bologna gli alberi non superano mai i piani dei palazzi e i palazzi non hanno ascensori. Insomma è una piccola città Bologna e non deve dimostrare niente a qualcuno in particolare.), ho puntato un tiglio, uno qualsiasi che costeggia la fine del parco, ma che non è troppo a ridosso della strada. La terra ai suoi piedi ha un piccolo rigonfiamento tutt’intorno, le radici staranno esplodendo in vari modi sotto di lui e ora vengono fuori delle bolle di zolle compatte e scomposte: credo che i piedi di questo tiglio siano il posto ideale per le mie Gerbere. Mi accuccio e lascio il vaso sopra una di queste zolle. Le guardo e mi sembra stiano proprio bene. Poi le riguardo, anche la posizione non è male, l’albero non è avvilito dalla vicinanza della strada ed è comunque ancora parte del giardino: non poteva venirmi un’idea migliore di questa! Ho fatto qualche passo indietro, come per tornare a casa, invece mi sono fermata e girata a riguardare il vaso, sembra che il tiglio abbia appena partorito.
Quando sono rientrata, non ne avevo di continuare ad impacchettare, mi sono sentita come se avessi finito tre traslochi in due ore, da una casa di dieci piani senza scale a una di otto con l’ascensore rotto, non a Bologna ovviamente.
Questa mattina mi sveglio che è mercoledì, ho quasi finito di riempire gli ultimi sacchetti ieri, con le cose del bagno che lascio sempre alla fine. Scendo a prendere l’ultimo caffè del mio quartiere, questo pomeriggio viene mia nonna direttamente dal sud e mi porta da lei. Le racconterò che avevo delle Gerbere e che per non saperle gestire durante il trasloco le ho regalate al tiglio del parchetto della scuola elementare. Poi, prima che lei arrivasse, volevo andare a salutarle un’ultima volta immaginandomi in una scena di addii da film italiani, dove c’è un campo medio e una canzone di Claudio Villa. Ma al mio arrivo il vaso non c’era già più e invece di dispiacermi, ho tirato un sospiro di sollievo.
Mi piace pensare, nonna, che le abbia prese una signora che ha la casa piena di gatti e le carta da parati sulle pareti della camera da letto color verde acqua; una casa con la cucina che sa di biscotto e una grande finestra sopra il lavello con un davanzale lungo e stretto, dove mette in fila, uno dopo l’altro, tutti i vasi di fiori che i suoi signori le regalano. Ma anche quelli che si regala lei. E quindi eccola, la mia Gerbera, la vedi nonna? E’ proprio quella lì, l’ultima sul davanzale.