Le bretelle


Si alzava con i calzoni lunghi e striscianti: strascicava le scarpe, Converse 2012 nere. Il pavimento era di legno e le suole nuove, il giusto; non sarebbe scivolato. Comunque da seduto sembrava molto più alto.

Quei calzoni, senza orlo, erano marrone scurissimo, di velluto, avrei detto. Al primo passo uno slancio a rallentatore dimostrava quanta gobba si sarebbe accumulata negli anni – e già ne aveva fatta di strada.
Poi un altro passo, e tre e quattro, mento in fuori, collo piegato che ne assecondava la propensione, naso dritto: guardava dritto, puntava il bancone.

Quindi bretelle nere, a righe bianche, più lunghe di lui, avrei detto; incorniciavano una camicia azzurrina cotone anni ’50 tenuta benissimo. Il secondo bottone, sbottonato, mostrava il petto coperto e una canotta – quella della salute – di flanella leggera, bianca tanti anni fa. Di quelle che si vede quasi in trasparenza la pelle e o i filamenti del tessuto intrecciarsi, intrecciati.

Un cordino da occhiali appeso al collo, con al collo gli occhiali, appunto, a testa in giù.

Questo signore stava indossando il suo abito più giovanile, mentre dal tavolino – presso cui era seduto – al bancone brandiva uno smartphone penultimo modello, ancheggiando deciso: il gomito alzato, il braccio si sarebbe teso, quindi al barman con la barba e il bourbon acrobatico avrebbe chiesto:

che hai una carica?

Cento punti, se non di più, da parte della signora sua commensale – Patty Pravo senza trucco – che seduta allo stesso tavolo lo guardava proporsi con slancio, vincente; sarebbe tornato, lasciando il cellulare sull’angolo di un qualche tavolino, in ricarica, per continuare il corteggiamento.

Poi amore fu, mentre la sera trascorreva tra due pinte mezze piene e un tagliere grande per due persone che avevano ordinato per due, come due grandi giovani di mezza età, in età avanzata.